Linguaggio vuol dire risiedere in una realtà, esperienza vissuta di una realtà. Sebbene sia più che vero che il linguaggio di cui ci serviamo è tradimento non basta volerlo liberare dai suoi tabù. Bisogna riviverlo, non ri-animarlo. […] Lo dice qualsiasi buon trattato di filosofia, – disse timidamente Gregorovius, che aveva sfogliato entomologicamente le cartelle e sembrava mezzo addormentato. – Non si può rivivere il linguaggio se non s’incomincia con l’intuire in modo diverso quasi tutto ciò che costituisce la nostra realtà. Dall’essere al verbo, non dal verbo all’essere.

Intuire – disse Oliveira, – ecco una delle parole che servono sia per spazzare come per rigovernare. Non attribuiamo a Morelli i problemi di Dilthey, di Husserl o di Wittgenstein. L’unica cosa chiara in tutto ciò che ha scritto il vecchio è che se continuiamo a servirci del linguaggio in chiave ordinaria, con scopi ordinari, moriremo senza aver saputo il vero nome del giorno.

  1. Cortàzar, Rayuela. Il gioco del mondo, pag. 455, 456.

 

L’uomo si ritrova dall’origine immerso all’interno di un mondo non scelto, il mondo dell’ordinario, mondo significante. Si muove all’interno di una realtà all’apparenza confortante, ma sfuggente, mai perfettamente circoscrivibile, mai totalmente conoscibile.

Inafferrabile è egli stesso, egli stesso per se stesso. È dynamis, essere in potenza e, di conseguenza, non de-finibile. Ragion per cui ricerca sé al di fuori di sé, dirige la propria intenzionalità all’esterno. Così viene a contatto con il mondo, e in esso progetta, desidera, spera, agisce e si relaziona. In esso ricerca un senso: interpreta la realtà, cose, eventi e coscienze altre quali fossero testi da comprendere. In questo modo svela se stesso, diviene lettore di sé attraverso ciò che è altro.

L’uomo si serve del linguaggio, che appare potente quanto terrificante, terrificante perchè inevitabile. Ne avverte la potenza e la problematicità. La parola è spesso contornata da un’aura di ambiguità ed è per questo aperta al fraintendimento.

C’è una possibilità ulteriore, tuttavia. Quella di servirsi di un genere differente di linguaggio, non più referenziale, ordinario, ma poetico, metaforico e trasfigurativo. È questo il linguaggio creativo, degli accostamenti inediti, illogici, rivelativi di un senso ulteriore. Le parole non si limitano più a significare direttamente oggetti del mondo ma creano mondi.

Il linguaggio maggiormente libero da vincoli prosaici, il più incline perciò stesso a celebrare se stesso nelle proprie licenze poetiche, ebbene quello stesso è il più disponibile per cercare di dire il segreto delle cose. Il linguaggio poetico, dicevo improntando alla teoria dei modelli, contribuisce alla “ridescrizione” del reale.

  1. Ricoeur, Riflession fatta. Autobiografia intellettuale, pag. 61.

È così che Ricoeur conferisce una struttura filosofica al progetto di Gregorovius, che all’interno del romanzo ricerca i fili segreti del linguaggio, intuendone l’intima connessione con il reale. È possibile ri-vivere il linguaggio, nel senso di dargli una nuova vita, un nuovo scopo, quello di trasfigurare il mondo e la vita.