Proviamo a vedere, brevemente, “la cosa” senza falsità! Perché la gelosia riguarda tutti. Sia nell’esteriorità sia nel tentativo di nasconderla. Per questo prendo tra le mani il libro del filosofo-psicanalista Umberto Galimberti, I vizi capitali e i nuovi vizi. Non si parla di gelosia, ma di invidia. E mi pare che, senza troppe difficoltà, in molti casi i due “vizi” si possano tranquillamente sovrapporre. Il “mancato senso del possesso” li accomuna.

Seguendo la filosofia di Nietzsche Galimberti dice che vi fu un tempo, quello dell’antica Grecia, in cui padroneggiavano la misura e il senso del limite. Questo atteggiamento rendeva la vita sociale e affettiva più praticabile. Di certo c’erano guerre, conflitti e cospirazioni. E non voglio nemmeno pensare che non esistessero gelosie e invidie. Ma le loro virtù e i loro successi erano considerati soprattutto come un dono degli déi. Pertanto essere gelosi o invidiosi di qualcuno voleva dire fare un torto a una delle divinità, ovvero significava essere empi (peccare di hybris). Bisognava solo riconoscere la grandezza e averla come paradigma da imitare. E anche quando i nemici venivano sconfitti con crudeltà, si potevano comunque ammirare e riconoscere i loro valori umani e divini.

Poi vi fu il cristianesimo. Ed ecco che appare con prepotenza la gelosia-invidia. Con la nascita del principio di uguaglianza nasce il nostro vizio. Secondo Nietzsche: “L’invidioso, quando avverte ogni innalzamento sociale di un altro al di sopra della misura comune, lo vuole riabbassare fino a essa. Egli pretende che quell’uguaglianza che l’uomo riconosce, venga poi anche riconosciuta dalla natura e dal caso. E per ciò si adira che agli uguali le cose non vadano in modo uguale”. Mi pare quindi che la religione dei pellegrini verso il Cielo della Giustizia eterna, in realtà, vuole praticare questa giustizia proprio nel mondo terreno che, in teoria, vorrebbe negare con l’ascesi e col distacco dalla materia. Scrive Galimberti: “alla venerazione degli antichi subentrò l’invidia”. Direi che forse i cristiani venerano veramente solo i morti. Il dono di Dio viene riconosciuto sempre troppo tardi (poveri santi, imitatori – e in questo simili ai greci? – della Persona più odiata e invidiata). Ed oggi più che mai vediamo culti di statue e di idoli piuttosto che l’espandersi dell’amore verso il prossimo. Paradossalmente proprio la religione che vuole dare pace a tutti, in realtà la toglie dal cuore di tutti. Tutto viene rimandato sempre Oltre. Intanto è meglio lavarsi le mani!

Ma Galimberti non si ferma qua. Anche lo Stato è il luogo della gelosia-invidia, proprio per la sua formale nascita all’insegna dell’uguaglianza. Qui la giustizia e l’uguaglianza si mischiano in un covo di risentimenti e malesseri. Però Galimberti afferma: “nelle società dove la disuguaglianza è ritenuta innaturale, se non addirittura il prodotto dell’iniquità sociale, l’invidia può rivestire i panni della virtù e trasformarsi in istanza di giustizia, per cui diventa legittimo chiedere a chi ha successo le credenziali della sua fortuna”.

Ma oggi più che mai la nostra società, che vanta radici greche, cristiane o illuministe, è la società dell’invidia. Ciò perché essa è basata solo sul successo dei cittadini. E visto che questo spesso non dipende liberamente da un individuo e dalle sue virtù, ma da tutta una serie di fattori “oscuri” (ma non troppo), non si può che essere gelosi e invidiosi del prossimo. A non tutti è garantito un cammino, un progetto o una possibilità di vita piena e dignitosa. L’immagine, vera divinità della nostra epoca (si pensi ai social), diventa dunque l’arma più tagliente per vendicarsi, perché non fa che destare gelosia e invidia negli altri (in-videre, appunto). Homo homini lupus, nonostante lo Stato!

Vedete quanto sono reali la gelosia e l’invidia? Quindi, o ci ricordiamo un po’ il senso greco del vivere o davvero, con Sartre, possiamo esclamare: “l’inferno sono gli altri”. E dire che siamo pure masochisti, perché gelosia e invidia sono gli unici vizi a non recare alcun piacere!