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di Veronica Andorno

Laurea  magistrale in Filosofia Università di Torino

Studente II anno del  master triennale in counseling filosofico  di Torino (SSCF)

Insegna  storia, filosofia e italiano.

 

Ed eccoci qua, ad affrontare una crisi sanitaria, economica, esistenziale che ha fatto la sua irruzione nelle nostre vite sotto una forma insospettabile, sotto la forma di un virus, un essere invisibile che da un giorno all’altro ha sconvolta la nostra quotidianità. La necessità dell’isolamento precauzionale ci costringe inevitabilmente a ripensare due categorie che erano già in crisi da tempo per via dell’accelerazione, della velocità della vita contemporanea: il tempo e il rapporto con il sé, categorie che si nutrono l’una dell’altra se vogliamo considerare il tempo come qualcosa che nasce in relazione alla nostra coscienza e non solo scandito dalle lancette dell’orologio. La speranza è quella di riuscire a sfruttare le condizioni in cui ci troviamo per costruire fondamenta solide sulle quali non tornare al tempo di prima, bensì per affacciarci a un domani più consapevole.
Oggi è il tempo della solitudine: come in un macabro parallelismo patiamo l’isolamento per via di una malattia infettiva che costringe il malato all’isolamento; come nel miglior rovesciamento dialettico la nostra casa, il nostro nido, è vissuto come una prigione. D’altra parte, sembra che stiamo riscoprendo il senso del patriottismo, il senso della fratellanza, nella viva speranza che non si riduca tutto a retorica o a una parentesi da dimenticare.
Si diffonde la coscienza dell’importanza del ruolo che ognuno di noi ricopre, si percepisce fierezza in quelle categorie di lavoratori giudicate essenziali e che quindi hanno l’onere e l’onore di portare avanti la loro attività. Così riscopriamo l’importanza del lavoro non al mero fine dello stipendio o della sopravvivenza, bensì anche e soprattutto come attività che richiede un investimento del proprio sé.
Oggi è il tempo della solitudine del presente. Per tutti noi le giornate ora scorrono tra la noia, che ci ricorda con forza che nonostante la nostra presunzione di esseri razionali, senzienti, coscienti e creativi siamo completamente insufficienti a noi stessi e i bollettini di morte, che ci rammentano la nostra fragilità e l’ineluttabilità della morte. Ovunque campeggiano cartelloni speranzosi con disegni di arcobaleni e scritte inneggianti a un futuro che cancellerà questa esperienza. Ma l’isolamento sociale non deve essere dimenticato, né vissuto come una parentesi della nostra vita: è un’occasione. Si dice che “andrà tutto bene”. Sì, passerà anche questo momento, ma se ci concentrassimo sul presente?
Oggi è il tempo della solitudine della ridescrizione. Ora che siamo costretti a imparare a convivere con noi stessi non può essere contemplato il fallimento. Il nostro sé può diventare il nostro migliore amico, ora abbiamo l’occasione di conoscerlo, in questa sorta di lungo presente che stiamo vivendo. I provvedimenti sulla quarantena sono stati uno schiaffo e ci presentano con
La necessità dell’isolamento precauzionale ci costringe inevitabilmente a ripensare due categorie che erano già in crisi da tempo per via dell’accelerazione, della velocità della vita contemporanea: il tempo e il rapporto con il sé….
Oggi è il tempo della solitudine del presente. Per tutti noi le giornate ora scorrono tra la noia, che ci ricorda con forza che nonostante la nostra presunzione di esseri razionali, senzienti, coscienti e creativi siamo completamente insufficienti a noi stessi e i bollettini di morte, che ci rammentano la nostra fragilità e l’ineluttabilità della morte.
un’evidenza clamorosa il fatto che abbiamo costantemente bisogno di svolgere attività che distolgano l’attenzione dalla nostra coscienza, con la quale a stento ci riconosciamo. È un banco di prova per la nostra identità, per la nostra essenza più profonda. La giornata è radicalmente cambiata: da una frenetica corsa à la Bianconiglio in cui il cruccio del ritardo impediva il godimento dell’istante a intere giornate da dedicare a noi. È il momento di imparare a gestire questo tempo dilatato che trova significato nella nostra esistenza. Si dice che in questo periodo la sensazione sia quella di “perdere tempo”. Finalmente, invece, il tempo non è più scandito da un’agenda, è nostro: dedichiamocelo.
Dedichiamolo a noi, alla conoscenza di noi stessi. Abbiamo l’occasione per approfondire davvero la conoscenza di quella persona che non ci può lasciare, il nostro sé: dialoghiamoci, ripieghiamoci sulla nostra coscienza. Andrà tutto bene se sopravvivremo alla solitudine e soprattutto se ne usciremo più consapevoli. Alla luce di una migliore comprensione del nostro sé possiamo davvero aggiungere autenticità alla narrazione della nostra vita.
Instaurare un rapporto con noi stessi sarà anche la base per una migliore comprensione e accettazione dell’altro. Un tuffo concreto, attento, nella nostra sofferenza permetterà una migliore empatia, ci farà comprendere l’importanza del tempo strappato al dovere e dedicato a quelle persone per le quali la sofferenza della solitudine non finirà dopo la quarantena. Non eludiamo l’angoscia, essa ci fa toccare la nostra essenza più profonda. Immergiamoci, comprendiamoci, viviamo l’adesso. Oggi è il tempo della solitudine di un’occasione: ne potremo uscire vivificati, più autentici, più solidali.