a cura della prof. Veronica Andorno insegnante presso TTS Aosta Scuola privata

Cosa ne pensano i giovani di questo isolamento? Cosa ne pensano coloro che stanno per affacciarsi alla vita? Se lo chiediamo a loro emergono una seri e di punti di vista comuni. Quello che immediatamente balza all’occhio sono le risorse che i giovani riescono a mettere in campo per affrontare la situazione, per ribaltare il negativo in opportunità. Risuona l’eco di Ernst Bloch, che aveva individuato nella gioventù la portatrice della coscienza utopica, dei sogni a occhi aperti. Essi sono orientati verso il futuro, un futuro che sia sostenibile in materia ecologica e umana, intravediamo la speranza di un’unità uomo-natura. Proprio nei riguardi della natura abbiamo una responsabilità, nella gestione delle risorse, che non può più aspettare.

E poi la considerazione della nostra fragilità di esseri umani, fragilità nella quale possiamo riconoscerci fratelli.

Ho ritenuto opportuno dare parola a loro, chiedere loro di esprimersi, per catalizzare una sorta di presa di coscienza di loro stessi sulla loro presenza, sul loro futuro, perché ci tramandassero un po’ di quella freschezza che ha molto da dire e che non ha perso la capacità di farlo.

 

Seyni Faye, 19 anni.

 L’isolamento imposto dal Covid-19 è da molti visto in maniera negativa e per alcuni aspetti è giusto sia così, ma va detto che offre anche qualcosa. Innanzitutto l’essere confinato in casa interrompe la frenesia della giornata tipo, che risulta sempre più caratteristica della vita di ognuno, permettendoci di concentrarci di più su noi stessi, di pensare di più a quello che stiamo facendo nella nostra vita, ciò che vorremo fare e magari di capire se le due cose coincidono o sono tristemente distanti. In secondo luogo una situazione del genere che permette di vedere quanto siamo tutti fragili allo stesso modo in una qualche maniera ci rende più parte di un gruppo (che è quello degli esseri umani) il che in un futuro non eccessivamente prossimo potrebbe risultare importante come punto di partenza per una “unità generale” maggiore.

Niccolò Abram, 20 anni.

 

Per la prima volta l’umanità si è ritrovata totalmente bloccata e sottomessa alla natura che forse con questa pandemia ha voluto comunicarci qualcosa. In primo luogo penso che questo periodo di quarantena abbia insegnato tanto alle persone, come ad esempio imparare a godersi il presente e a concentrarsi su se stessi facendo un viaggio nel proprio io, imparando a conoscersi e ascoltarsi siccome ogni giorno siamo abituati a correre nel futuro senza vivere e viverci fino infondo. Ma ora che il dopo è incerto per tutti, che il senso di impotenza offusca molti ragionamenti e decisioni dobbiamo essere solo consapevoli di chi siamo davvero, per non perderci, anzi per ritrovarci davanti allo specchio, ma questa volta senza veli e senza maschere, semplicemente noi in una stanza in quarantena in quella casa che in questi mesi si è rivelata essere più una prigione dove siamo stati costretti a stare. Come se la natura avesse voluto prendersi una piccola rivincita. In secondo luogo credo che questo periodo serva, oltre che a riflettere su piani o visioni di noi nel futuro, a ridimensionare un po’ l’umanità facendola sentire non più superiore, ma vulnerabile nei confronti di quella natura che tutti noi pensavamo di dominare, ma che forse con un po’ di paura stiamo imparando a rispettare spogliandoci della nostra sfacciataggine e rendendoci tutti più umili e sentendoci parte finalmente di gruppo senza distinzioni tra ricchi e poveri o tra forti e deboli. Inoltre, sono sicuro che quando finirà questa situazione la nostra concezione del modo sarà cambiata, infatti, non so chi tra di noi avrà il coraggio di salire su un treno, su un pullman o di andare semplicemente in discoteca senza porsi mille domande sul fatto che nell’aria o sulle superfici non ci sia un nemico invisibile che possa uccidere i nostri nonni o parenti a nostra insaputa. Chissà se questa situazione potrà servire all’umanità come mezzo per migliorarsi.

 

Martina Gaglio, 19 anni.

 Cosa ne sarà del nostro futuro? Cosa sarà dei nostri progetti? Come riusciremo a rivivere la quotidianità come una cosa scontata? In un periodo di reclusione forzata come questo questi interrogativi sorgono spontanei. È inevitabile pensare che il nostro futuro oggi si presenta come una sfida da dover superare e un qualcosa di utopico. In primo luogo sostengo che questo periodo difficile fa inevitabilmente riflettere su noi stessi. Abbiamo un sacco di tempo per pensare a cosa abbiamo fatto fino ad adesso e cosa vorremo fare una volta usciti da questa situazione surreale. Continuo ogni giorno a progettare il mio futuro così come lo vorrei e almeno facendolo sono sicura che questa idea di utopia del futuro non rimarrà soltanto un sogno. In secondo luogo penso che oltre a riflettere su noi stessi sia importante riflettere sul mondo, sulla natura e sulla sua grandezza. Questo è un tema molto dibattuto in questo periodo perché quella cosa chiamata natura che una volta sembrava benissimo trascurabile, ore non lo è più. Ora non lo deve più essere. Ci rendiamo conto che una volta allontanata l’emergenza del virus dovremo riorganizzarci con delle misure efficaci contro il riscaldamento globale, con una gestione più sostenibile dell’agricoltura e dei settori riguardanti la fauna. Concludo dicendo che secondo me quando riusciremo a sconfiggere tutto questo il timore resterà sempre presente, non vivremo più la vita con la stessa tranquillità di prima, ma insieme, rendendoci conto degli errori commessi potremo cambiare la società e tutto il suo contorno rendendola meno debole.

 

 

Andrea Restano, 20 anni.

 Una vita frenetica, fatta di vizi e di corse: è da questo che il Covid-19 ci ha fermati.

Ormai la vita era diventata un “ammalare” il tempo in attesa che il tempo “ammazzasse” noi, sempre di corsa, mai tempo da dedicare veramente a nessuno, solo l’idea di fare più cose possibili per poterci illudere che il nostro breve soggiorno su questo pianeta possa essere ricordato o possa essere servito a qualcosa. Forse però non è più la “diritta via” e forse avevamo perso il senso delle cose importanti, in balia di una società che minaccia di schiacciarci se perdiamo il ritmo. Forse pero è meglio perdere questo treno di frenesia e dedicarci a noi stessi e al nostro bene, ritrovare chi ci ha voluto bene ma che, per correre dietro degli ideali imposti dalla società, abbiamo trascurato oppure ritrovare il tempo per i nostri hobby e per le nostre sciocchezze, che possono sembrare superflue ma ci fanno divertire e crescere. Siamo nati in un mondo dove se sbagliamo rimaniamo indietro ma forse se sbagliamo miglioriamo.

Questa improvvisa pausa ci ha permesso di riflettere e di realizzare che non tutto il progresso è sempre giusto. Vivo in un paese di 600 persone, i miei nonni mi raccontano di quando erano bambini e tutti si conoscevano e il paese era tutto unito, dove la spesa banalmente si faceva al negozietto di paese e non si partiva con la propria macchina per andare a 24 km per comprarsi una vaschetta di gelato. La vita deve tornare a essere importante per noi e per i pochi che realmente ci ricorderanno. Ho voglia di fermarmi, di sentire il rumore del vento e dell’acqua, cose apparentemente  banali ma che ormai non si considerano più, e se vivere vuol dire fare esperienze e assaporare tutto ciò che la vita ci mette di fronte e fare di ogni piccola esperienza tesoro, voglio tornare a vivere.