di Irma Sodero

Medico veterinario.

Studente del II anno Master in Counseling Filosofico ISFiPP – Torino –

La millenaria saggezza cinese ci insegna che quando l’allievo è pronto, il maestro arriva. E proprio dalla Cina questa volta il maestro è arrivato…e che maestro! Vuol dire che l’umanità è pronta ad imparare? Speriamo.
Più di venti anni fa, una mia amica che allora lavorava nel consiglio direttivo di una grande assicurazione, mi aveva raccontato che i suoi capi si erano riuniti a Parigi per decidere quali provvedimenti prendere in caso di pandemia. Mi ricordo che allora le avevo chiesto ridendo: “E cosa fanno se scoppia una pandemia? La combattono a colpi di polizze?”. Lei mi aveva risposto seria: “Non hai capito, il punto non è cosa pensano di fare e non è neanche SE scoppia una pandemia, ma il punto è QUANDO scoppierà una pandemia…loro danno per certo che ci sarà”.
Le assicurazioni dunque si preparavano a parare il colpo. Mi ricordo che all’epoca avevo fatto la considerazione che il punto cruciale non fosse tanto il se, il quando o il come, quanto piuttosto se il sistema avrebbe retto o non avrebbe retto. Nel secondo caso, con buona pace delle assicurazioni, nessuno avrebbe più avuto bisogno delle polizze. Nell’eventualità, comunque, io mi ero comprata due stufe a legna da mettere in casa perché “non si sa mai”.
In ogni caso anche io, nel mio piccolo, come le assicurazioni, ho sempre cercato di anticipare i colpi da parare per non farmi trovare impreparata da un futuro incerto.
Per tutta la vita ho combattuto come una leonessa per salvaguardare lo status quo ante e per farlo mi sono votata alla regola “controlla e previeni”. Così per anni ho perso di vista la varietà e la bellezza di quello stesso quotidiano che, invece, pattugliavo maniacalmente ai fini di trovare anche la più piccola crepa in cui potesse infiltrarsi… l’imprevisto.
Ma cos’è l’imprevisto se non un cambiamento imposto dall’esterno? Ecco, io questo tipo di cambiamento non ero disposta a farlo fluire, aveva un odore sospetto: puzzava di fregatura. E adesso che l’imprevisto, con la I maiuscola, è arrivato, ho avuto modo di riflettere, mi sono guardata indietro e mi sono resa conto di aver avuto una vita privilegiata e appassionante, ma….di non essermela goduta, mai. Che peccato!
Ora, in questo tempo sospeso, che non ci viene regalato perché lo stiamo pagando a caro prezzo, che ci viene offerto dalla catastrofe, penso che il regalo maggiore ce l’abbiano fatto i nonni.
Nelle vecchie famiglie i nonni erano considerati una risorsa, erano accuditi ed onorati come il cuore della saggezza della casa. Ora guardo le immagini di nonni chiusi nelle case di riposo travolte dal virus, li vedo sbirciare dalle finestre, sparuti come uccellini spaventati. Loro sono stati gli artefici del nostro boom economico, quelli che hanno contribuito a costruire questa stessa società che poi, non sapendo più cosa farsene di loro, li ha confinati in strutture per vecchi rottami in attesa dello smaltimento.
Ma la società siamo noi, figli e nipoti che impossibilitati a occuparci dei nostri vecchi, ci siamo persi la grande occasione di ascoltarli, di accudirli materialmente ed intanto di lasciarci accudire da loro spiritualmente. Più che responsabili, siamo vittime consenzienti di un sistema che inseguendo la logica materialista del mercato, ha diviso quelli che una volta erano nuclei familiari in categorie funzionali: vecchi: inutili, adulti: produttivi e buoni consumatori, giovani: inutili, ma ottimi consumatori.
“…il punto non è cosa pensano di fare e non è neanche SE scoppia una pandemia, ma il punto è QUANDO scoppierà una pandemia…loro danno per certo che ci sarà”.
Ora, in questo tempo sospeso, che non ci viene regalato perché lo stiamo pagando a caro prezzo, che ci viene offerto dalla catastrofe, penso che il regalo maggiore ce l’abbiano fatto i nonni.
Disse Krishna al guerriero Arjuna: “Ogni qualvolta la spiritualità si dissolve ed il materialismo dilaga,
allora, o Arjuna, Io mi reincarno”
Re-incarno…e, infatti, si è reincarnato cioè è entrato nella nostra carne, sotto forma di un virus che
si chiama Corona.
Ma dove portiamo noi la corona? Sulla testa, dove splende il chakra più alto, quello appunto della
Corona. Quello che ci mette in contatto con il divino. Ѐ il sublime chakra della spiritualità.
E se tutto il mondo fosse stato infettato dal virus della spiritualità?
Così, in questo momento storico in cui la nostra tranquillità si sbriciola via via che i giorni passano, succede una cosa enorme: i vecchi recuperano il loro venerando ruolo, quello di nonni, cioè di maestri e per fare questo si sacrificano: ne muoiono dieci, cento, migliaia…
Li impacchettano velocemente e li portano via con i camion militari…zitti, zitti. Ma loro non stanno zitti.
Come tutti quelli che muoiono, ci mandano un messaggio forte e chiaro: “Così non va bene, questa società così
com’è non funziona. Quelli che restano devono cambiare perché niente sia più come prima, mai più, mai più come prima.” Si sacrificano…cioè fanno del loro messaggio qualcosa di sacro. A questo punto mi si ripresenta il vecchio dilemma: il sistema reggerà \ il sistema non reggerà? Credo che il sistema reggerà. Lo rabberceranno in qualche modo e si ripartirà. Spero che si provveda ad una profonda ristrutturazione economica, sociale e politica.
Ma questo, per fortuna, non è un compito che mi riguardi, la salvezza del sistema per me, a questo punto, è un questione irrilevante. La questione importante è invece: riusciremo a comprendere l’importanza del sacrificio?
Non il vecchio concetto di sacrificio come lacrime e sangue, ma il concetto di sacrificio nella suo
profondo significato: sacrum facere.
Solo se ognuno di noi saprà fare del suo quotidiano un inno al sacro, ci sarà salvezza per tutti quanti.
E uno, più un altro, più un altro ancora, dieci, centomila, milioni di esseri che onorano la sacralità del
vivere finiranno per sgretolare anche il più materialista dei sistemi.
È un’utopia? Forse, ma vale la pena tentare
Affetta dalla sindrome “della corsa topo” per anni mi sono ridotta a dover correre sempre più veloce
per produrre di più, per guadagnare di più, per spendere di più persino per ottenere un briciolo di
libertà in più. E non c’era verso di scendere da questa ruota dei dannati. Ci ho provato più volte, ma
è stato impossibile perché ormai mi ero fusa con lei: ero diventata parte dell’ingranaggio.
E chissà quanti altri “topi” come me hanno sperato di liberarsi.
Ma la cosa grave è che, pur conducendo uno stile di vita profondamente infelice, noi poveri topi
schiavi abbiamo cercato ugualmente di trasmetterlo ai nostri figli. E loro, che sanno cogliere di noi
più che gli aspetti, le incongruenze, laddove predicavamo di valori sacrosanti quali il senso del dovere
l’impegno, l’ambizione personale, coglievano in noi solamente la caricatura. E rifiutavano il nostro
modello: “falla tu la corsa del topo, se ti piace tanto. Io ne godo i frutti.”
Smidollati senza obbiettivi? No lucidi lungimiranti.
A questo punto, inconsistenti tanto come figli, quanto come genitori e travolti dalla condanna della
ruota, quanti di noi poveri topi sfiniti e profondamente infelici, hanno invocato un qualsiasi
cambiamento!
Abbiamo sperato e ci siamo aspettati che il cambiamento arrivasse dall’alto: dal governo, dall’Europa,
dalla pensione o da una vincita al superenalotto e non capivamo che il vero cambiamento, per essere
rivoluzionario, deve essere diffuso, capillare; deve partire dal basso, da ognuno di noi.
Io, tutto questo, l’ho capito adesso, in questo tempo sospeso e silenzioso… dilatato.
Finalmente accetto con indicibile sollievo la consapevolezza che tutto ciò che adesso verrà non
dipenderà da me ma dalla ineluttabilità delle cose.
Così, in questo momento storico in cui la nostra tranquillità si sbriciola via via che i giorni passano, succede
una cosa enorme: i vecchi recuperano il loro venerando ruolo, quello di nonni, cioè di maestri e per fare questo si sacrificano: ne muoiono dieci, cento, migliaia
E mentre straccio la mia polizza assicurativa e ne faccio coriandoli, mi godo il lusso di assaporare il
profumo del cambiamento.
È un profumo che ho già sentito in un tempo lontano, ero piccola, ma ho fatto in tempo ad annusarlo:
è il profumo dell’aria di un maggio di tantissimi anni fa, quando i fiori sbocciavano a migliaia nelle
strade e nelle piazze e i ragazzi di allora credevano che, rovesciando il mondo, ne avrebbero costruito
uno migliore.
Dai: riproviamoci!

 

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