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di Paolo Montecchio

 

Laureato in Filosofia alla Statale di Milano

Frequenta il II anno di “Counseling Filosofico” presso Isfipp – Torino

 

In questi giorni giocoforza scanditi da un ritmo quasi sempre uguale a sé stesso, in cui ciascuno è in qualche modo chiamato ad attribuire loro un senso e provo a dare forma e condividere una domanda che mi frulla da un paio di giorni, e che suona più o meno così: quali sono, quali possono essere, quantomeno, o al limite se ci sono, delle possibilità per la filosofia?

A mio modo di vedere, infatti, stiamo in qualche modo assistendo ad un riassestarsi di paradigma, non solo in termini socioeconomici, ma anche culturali. Proverò a suffragare questa tesi attraverso alcune affermazioni che ritengo largamente condivisibili, ancorché non suffragate da fonti

– la presente riflessione vuol essere per l’appunto una riflessione, una condivisione di pensieri e non un saggio scientifico – dopodiché proverò ad ipotizzare un possibile scenario per la filosofia “post Covid-19″. Le affermazioni sono le seguenti:

  • L’influenza culturale della medicina: se è vero che già prima del virus la medicina ha avocato a sé una certa influenza sulla vita e sulla morte delle persone – in fondo già ai tempi dei greci la medicina aveva questa influenza, simbolica oltre che pratica, forse in virtù della propria duplice natura, mitologica e scientifica – è vero altresì che oggi più che mai la scienza medica ha la possibilità, oltre che la responsabilità, di mettere in atto pratiche e strutturare ricerche che fanno la differenza tra la vita e la morte. È infatti grazie ai progressi della medicina che è stato possibile costruire i respiratori di cui un paziente grave ha bisogno, è grazie a un gruppo di scienziate ricercatrici in campo medico che è stato possibile isolare il virus, è grazie ai progressi della medicina se delle vite vengono salvate. E’ pertanto ragionevole pensare che la medicina sia destinata ad avere più peso in futuro, sia in termini “politici”, sia presumibilmente in termini di allocazione delle risorse, sia nell’immaginario collettivo. (Riguardo alla ricerca scientifica ai tempi del Covid-19, mi sono imbattuto in questo articolo . Sottolineo che non ho un pensiero chiaro su questo, è solo che l’articolo dimostra che certi protocolli scientifici se da una parte sono stati resi più rapidi, dall’altro “the lack of peer review can also translate into issues of credibility and misinformation, both intentional and unintentional.” Quale possa essere la soluzione, non saprei dire ma mi sembra
  • L’influenza culturale della psicologia: in quanto disciplina avente il carattere di scienza, la psicologia sembra essere l’altra grande protagonista di questi mesi: da un lato ci si è accorti che non sempre la casa è il focolare, il nido, il luogo – fisico e simbolico – a cui tornare e in cui ricaricarsi, in cui si è se stessi, in cui si è al sicuro: il cambiamento forzato ha acuito e in qualche modo anche esasperato dinamiche che si erano stratificate e sedimentate e alle quali ci si era in qualche modo adattati; ora occorre trovare strategie diverse, quando non ci si interroga sul senso dello stare insieme; dall’altro vi è la tematica del senso e della morte, l’elaborazione del lutto e della perdita e del recupero del senso della perdita che a volte, di fronte a certe immagini, o a certi vissuti, uno crede perduto per sempre. Anche per la psicologia dunque sembra ragionevole pensare che siamo di fronte ad un consolidarsi di tale scienza in termini di presa sulla realtà: ci si scopre fragili, ci si scopre bisognosi di senso, e la psicologia – proprio in quanto avente il carattere di scienza, e cioè, in termini positivistici, avente “significato” – sembra avere le carte in regola per venire incontro a tali fragilità.
  • La religione e la religiosità. Ho provato un forte senso di straniamento a vedere il Santo Padre

ergersi da solo a contrastare il silenzio assordante e l’enormità del vuoto di piazza San Pietro. Penso così ai sacerdoti che devono trovare nuove strategie per raggiungere i propri fedeli, forse anche nuove risposte a nuove domande di senso. Quantomeno in Italia, comunque, la Chiesa è in parte legata a doppio filo con una sorta di senso sociale che resta vivo e attivo. Piazza San Pietro potrà essere silenziosa, ma vi è la consapevolezza dell’esistenza di persone che fanno del bene. Se questo implichi un riassestamento di paradigma anche per la religione, ovvero meno legata al rito e più volta all’impatto sociale, può essere un interrogativo da considerare.

  • I (social) media. Colpisce il contrasto tra il silenzio che c’è in generale, fuori dalla finestra, nelle piazze (vedi l’esempio di Piazza San Pietro di prima), e il rumore che si crea tra i social media. Chiamo rumore tutto ciò che non ha il carattere di scientificità ma è specificamente volto a creare o confusione nelle persone o a influenzarle per fini altri rispetto a quello di una crescita come soggetti Ricadono dunque sotto la categoria di rumore le fake news, la comunicazione scorretta/volutamente parziale, in generale una comunicazione che Heidegger definirebbe “inautentica”, ovvero tale da esser priva di un contenuto che abbia un certo “valore” assiologico o veritativo.
  • I dati e la loro interpretazione: vedo spesso sui social un proliferare di grafici, dati, messe a confronto. Non voglio generalizzare, né sostenere niente, né criticare alcunché, né minimizzare né fare considerazioni asettiche rispetto alla drammaticità che sta dietro ad ogni numero; è solo che a questo punto il mio “demone” interiore mi porta a interrogarmi filosoficamente rispetto al problema dei dati. Senza necessariamente scomodare Nietzsche, mi vengono in mente le parole di Duhem secondo cui “l’osservazione è carica di teoria”. Se è vero infatti che “senza una teoria, è impossibile capire il dato”, è altrettanto vero che la teoria informa di sé il dato. Riprendo da Treccani un esempio che mi sembra esplicativo: “Un esempio molto chiaro di tale nozione [di osservazione, n.d.A.] è dato da Hanson in I modelli della teoria scientifica (1958), in cui propone di immaginare Keplero e Tycho Brahe davanti allo spettacolo del sorgere del Sole. Entrambi riceverebbero sulla retina una immagine molto simile, ma osserverebbero cose diverse: Keplero vedrebbe l’orizzonte terrestre abbassarsi rispetto all’equatore del Sole; Tycho Brahe vedrebbe il Sole alzarsi sul piano dell’orizzonte. Dunque, Keplero e Tycho Brahe darebbero agli stimoli sensoriali una organizzazione/interpretazione che è piena delle loro personali convinzioni teoriche.”1. Spero mi si perdonerà se considero la cosa da un punto di vista filosofico, quello che mi sento di dire al di là di tutto, è una cosa molto banale e tuttavia talvolta trascurata: credo che prima di prestare fede ad un grafico condiviso su internet, è bene verificarne le fonti e capire “che cosa” quel grafico ci sta dicendo, perché la scienza è fatta così: le risposte che trova non sono disgiunte dalle domande che le si

E torniamo così alla domanda principale: a che la filosofia, nel 2020, dopo o durante il covid- 19, quando sembra presumibile che l’orizzonte dei saperi sarà composto in gran parte dalla scienza, medica e psicologica? Sebbene sia vecchia di un secolo, mi viene in mente un’affermazione di Husserl: “L’Europa non è più un aggregato di nazioni contigue che si influenzano a vicenda soltanto attraverso il commercio e le lotte egemoniche, bensì uno spirito nuovo che deriva dalla filosofia e dalle scienze particolari che rientrano in essa, lo spirito della libera critica, uno spirito impegnato in un compito infinito, che permea tutta l’umanità e crea nuovi, infiniti ideali! Ideali per i singoli uomini, nelle loro nazioni […] ideali che valgono anche per la sintesi sempre più vasta delle nazioni, una sintesi in cui ciascuna nazione […] offre alle altre ciò che ha di meglio”2. Ecco, forse questo può essere uno dei sensi della filosofia post covid-19: da una parte, l’auspicio di un’Europa più vicina all’ideale di un grande Paese che incentiva la libera ricerca e il libero spirito critico (che non significa essere “contrari” a prescindere ma essere intellettualmente onesti), e dall’altra, la consapevolezza del senso del proprio

costruire, che è per noi stessi ma che ci rende collegati gli uni agli altri. Forse non farà rumore, forse sarà più un silenzio, ma non è detto che il silenzio non abbia nulla da dire.

 

1 http://www.treccani.it/enciclopedia/osservazione_%28Dizionario-di-filosofia%29/

2 E. Husserl, “La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale”, Il Saggiatore, Milano 2008, pp.

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